Teatro

La stagione estiva Opera di Roma si apre con Didone ed Enea

Chiara Muti
Chiara Muti

La stagione estiva del teatro dell'Opera di Roma si apre quest'anno con Dido and Aeneas di Henry Purcell messa in scena da Chiara Muti, artista poliedrica che per la seconda volta si confronta con la regia lirica. 

La stagione estiva del teatro dell'Opera di Roma si apre quest'anno con Dido and Aeneas di Henry Purcell messa in scena da Chiara Muti, artista poliedrica che per la seconda volta si confronta con la regia lirica. L'accoppiata di uno dei palcoscenici più suggestivi al mondo e di un'opera delle opere più longeve e toccanti in circolazione è di per sé un punto di partenza per un grande spettacolo, un'accoppiata che sembra riflettersi in quella tra l'argomento classico e la composizione barocca. La grande dote artistica di Chiara Muti risiede proprio nel conciliare le forti e contrastanti identità di argomento e composizione in un progetto artistico coerente e bilanciato. L'Opera viene infatti ambientata in una corte barocca e il ruolo dell'antichità dell'ambiente è quello di ricordare l'interesse per la romanità da parte della nobiltà europea del tardo Seicento e i viaggi di piacere intrapresi dai nobili del tempo in Italia alla scoperta degli antichi splendori. La scelta della regia per l'approccio alla scena è quella di sfruttare al massimo i resti delle Terme inserendo solo una pedana girevole al centro del palco che permette trovate sceniche delicate e concede dinamicità allo sviluppo dell'azione scenica, senza tuttavia far notare la discontinuità con le rovine.

L'opera di Purcell rappresenta un miracolo di equilibrio e delicatezza, caratteristiche che le hanno permesso di giungere fi no ai giorni nostri nonostante fosse un'opera nata su commissione del maestro di ballo di un collegio femminile per rappresentazioni dilettantesche con pochi cantanti e pochi strumentisti. Eccezionale appare nell'ascolto il bilanciamento tra i recitativi e le arie che, pur essendo ben defi niti e distinti, appaiono fondersi senza che lo stacco tra questi venga percepito. In questo la Didone di Purcell sembra rappresentare un anello di congiunzione tra l'opera barocca e quella settecentesca.
La bellezza e l'equilibrio della musica sono stati sottolineati dalla bella direzione di Jonathan Webb.

Dal punto di vista letterario le connotazioni della Didone sono fortemente caratteristiche del Seicento inglese. L'opera narra con ritmo incalzante la vicenda dell'abbandono di Didone da parte di Enea che è costretto a rimettersi in viaggio per l'Italia dopo il soggiorno a Cartagine e il connubio con Didone che, disperata per la perdita, si suicida. Nonostante il classicismo della vicenda, peculiari dell'epoca sono alcune modi che come quella di sostituire agli dei, che nell'Eneide di Virgilio costringono Enea a rimettersi in viaggio, con delle streghe che ricordano i personaggi fiabeschi delle commedie elisabettiane che, con cinismo e divertimento, si impossessano della scena ed inviano uno spirito nelle sembianze di Mercurio ad ordinare ad Enea di lasciare Cartagine. Quindi molto caratteristico è l'accostamento tra la comicità e la leggerezza con cui il destino si prende gioco delle sorti umane con la drammaticità e la esasperata tensione emotiva con cui è vissuto l'abbandono da Didone e dalla cortigiana Belinda. Nell'Opera Didone ed Enea appaiono come archetipi di maschilità e femminilità, anche se il ruolo di principale non è ripartito in maniera simmetrica dai due, almeno dal punto di vista etico. L'integralismo passionale di Didone prevale sulla duttilità maschile di Enea: dopo averle comunicato la decisione di partire alla volta del Lazio ed aver assistito alla sua disperazione per la notizia, il fondatore della romanità ha un ripensamento e comunica a Didone di essere disposto a disubbidire agli dei pur di rimanere con lei. A questo punto Didone ripudia comunque l'amato: chi l'ha ri fiutata una volta non è degno di continuare a vivere con lei, anche se il dolore della separazione le costerà la vita.

L'origine dilettantistica dell'opera sembra venir sottolineata dalle scelte registiche di Chiara Muti e dalla bella scelta della Palestra Orientale, un ambiente al tempo stesso imponente e racchiuso con meno di duecento posti a sedere vicinissimi al palco che si trova al livello del suolo. Tutto ciò fa sì che allo spettatore sembri di vivere un'esperienza quasi privata; si ha l'impressione di partecipare appunto ad una messa in scena fatta con da una corte inglese del Seicento in viaggio in Italia. L'ambientazione en plein air merita ancora una nota positiva in quanto favorisce il realismo di alcune scene come quelle della tempesta nel bosco che in un teatro al chiuso avrebbe avuto una resa minore, tanto che non disturba e anzi sembra inserirsi senza fastidio nella vicenda l'immancabile partecipazione dei gabbiani romani. Le dimensioni ridotte dell'ambientazione permettono di apprezzare le doti musicali e sceniche dei cantanti e dell'ottimo coro. Degne di nota l'interpretazione e la presenza delle seducenti e divertite streghe da parte di Alda Caiello, Eleonora de la Pena e Benedetta Mazzucato. Struggente e di alto livello tecnico la passionale interpretazione di Serena Mal nei panni di Didone che spinge sulle caratteristiche belcantistiche. Il coro/corte è impeccabile nel suono e nei movimenti scenici, diretti da Micha van Hoecke il cui sodalizio artistico con Chiara Muti ha caratterizzato il lavoro dell'attrice/regista sin dagli esordi (coro ben preparato da Roberto Gabbiani); tra l'altro molto efficace pur se minimale la trovata di far indossare ai coristi una maschera da carnevale nera quando fanno da eco elle streghe. Di pari livello il resto del cast, compreso lo straordinario Enea di Jacques Imbrailo.
Un po' disgiunto dal resto della rappresentazione appare il prologo registrato e riproposto prima dell'esecuzione e anche la scelta di far comparire un giocoso Ascanio, figlio di Enea, durante l'esecuzione dell'ouverture.

Il pubblico assiste con partecipazione al veloce scorrere dell'azione fino alla commovente la scena finale in cui la toccante interpretazione di Serena Mal raggiunge il suo apice: “More I would but Death invades me; death is now a welcome guest". La morte di dolore di Didone è rappresentata tramite il lento e struggente abbandono delle rovine sotto l'arco della Palestra Orientale mentre la preghiera commossa del coro fa da eco alla disperazione della regina: “With drooping wings ye Cupids come, and scatter roses on her tomb, soft and gentle as her heart. Keep here your watch, and never part."

 

Scritto da: Lorenzo Asti